Gli Specnaz di Dmitry Beliakov ci aiutano a capire la differenza tra un fotografo “dilettante” e un “professionista”.
Ogni corso di fotografia inizia con l’esposizione di questo concetto: “Tutti possono fare una “bella” fotografia ma il fotografo professionista esegue continuamente fotografie su commissione rispettando le aspettative del committente anche in termini di tempi e costi.”
In pratica ciò è vero quando si confronta l’attività di un amatore della fotografia con chi della fotografia ne ha fatto una professione, con tutti i corollari di questa scelta: cultura, preparazione, investimenti e iscrizione alla Camera di Commercio!
Ma se intendiamo la fotografia come una forma di espressione artistica la differenza si fa più sottile e allo stesso tempo più sostanziale. Mi è capitato di vedere esposizioni fotografiche dove fotografi amatoriali esponevano immagini insieme a quelle di nomi importanti della fotografia e di constatare la peculiarità dei “professionisti” nel perseguire un progetto all’interno del quale tutte le immagini erano coerenti con il progetto stesso sia in termini estetici che di linguaggio.
Ma che cos’è il linguaggio fotografico? È la differenza tra fare una “bella” fotografia e saper raccontare una storia esprimendo le proprie esperienze esistenziali e culturali con la macchina fotografica.
Come i ritratti del fotografo russo Dmitry Beliakow dedicati ai veterani degli Specnaz – le forze speciali dell’Armata Rossa – che il 27 dicembre 1979 con l’ Operazione Štorm 333 (Шторм-333, Tempesta- 333) organizzata dal KGB aprirono formalmente l’invasione dell’Afghanistan occupando il Palazzo Tajbeg con la conseguente eliminazione fisica del presidente Hafizullah Amin per sostituirlo con Babrak Karmal, esule in URSS.
Fu un’operazione militare di grande spessore condotta dal Gruppo Alfa degli Specnaz – il meglio del meglio dell’Armata Rossa – i cui particolari sono rimasti per molti anni nascosti. Dmitry Beliakov ha raccontato attraverso le sue fotografie la vita di quegli uomini, un tempo giovani e
atletici militari super addestrati, a distanza di molti anni dagli avvenimenti che probabilmente hanno segnato le loro vite.
Superando l’iconografia un po’ retorica e marziale che avvolge i membri delle forze speciali di tutto il mondo gli Specnaz di Dmitry Beliakov sono stati ritratti in bianco e nero all’interno di ambienti anonimi, come uomini il cui vissuto è nei loro sguardi e nel loro atteggiamento di fronte alla macchina fotografica.
Posso solo immaginare le difficoltà che il fotografo ha dovuto superare per realizzare questo progetto, sia nel contattare i reduci e convincerli a posare per lui che inserirli in un contesto privo di retorica militare.
Non basta avere una macchina fotografica e saperla usare per fare un buon ritratto quando il soggetto è un reale testimone di esperienze e non una modella truccata ad arte che amicando dalle pagine di una rivista ci invita a comprare qualcosa.
Se non sai chi hai di fronte e le tue argomentazioni sono deboli non si fanno ritratti come questi.
(Antonello Tiracchia)